Per meglio comprendere e poter approcciare la dimensione artistico-creativa della variegata produzione di gioielli e monili realizzati dai Eleda Calandriello, ritengo sia importante creare una sorta di accostamento mirato con la storia e la tradizione connesse e correlate al multiforme mondo dell’evoluzione dello sviluppo avvenuto nelle varie epoche.

IL FASCINO DEI GIOIELLI
Forse gli uomini, anche quelli delle più antiche civiltà, hanno sempre trovato nei gioielli la compensazione a debolezze e desideri profondi, come la vanità, il bisogno di sentirsi ricchi o addirittura la necessità di assicurarsi salute e felicità grazie a oggetti a cui attribuire caratteristiche magiche. Non è un caso, che ai gioielli siano state attribuite capacità propiziatorie, oltre al più immediato significato di ricchezza materiale o di arricchimento estetico per chi li usa allo scopo di adornare la propria persona. Grazie ai gioielli è anche possibile capire meglio svariati aspetti di civiltà del passato attraverso le superstizioni, credenze, costumi, canoni estetici, conoscenze tecnologiche e rapporti commerciali ed economici che si sviluppavano intorno ad essi. Talvolta gli archeologi e gli antropologi ricostruiscono attraverso i gioielli il patrimonio culturale di civiltà del passato delle quali si sono perse le testimonianze costituite da oggetti più deperibili. I più antichi ritrovamenti di pietre, conchiglie ed ossa lavorate, magari forate in modo da far passare un filo allo scopo di ottenerne collane, risale a 25.000 anni fa. La funzione di tali oggetti poteva essere ornamentale, ma probabilmente erano soprattutto degli amuleti. I processi mentali che determinavano tali comportamenti si possono riscontrare ancora oggi presso le culture più moderne.

L’ORO, LA MATERIA PRIMA DEI GIOIELLI
L’oro ha esercitato sempre sull’uomo un potente fascino. Da più di 6000 anni questo metallo è stato cercato in ogni angolo del mondo, è stato studiato, lavorato e accumulato con un interesse per certi versi irrazionale. È straordinario, che tante civiltà abbiano profuso energie allo scopo di estrarre un metallo così tenero, duttile e sostanzialmente inadatto a forgiare armi, arnesi, strumenti o raramente necessario in complessi cicli produttivi. Un altro dato incredibile è che, nonostante tanta ricerca protrattasi per tanti secoli, l’intero quantitativo di oro raccolto dalla razza umana se fosse fuso in un unico enorme lingotto, non supererebbe le dimensioni di un cubo di 18 metri di lato, per non più di 120.000 tonnellate. Si deve quindi pensare a motivazioni meno pragmatiche per una tale ricerca. Probabilmente i dati essenziali sui quali basarsi per una spiegazione del fascino dell’oro sono da ricercarsi prima di tutto nel fatto puramente estetico, il colore e la lucentezza, poi nella sua caratteristica fisico-chimica dell’incorruttibilità. Si può fare l’ipotesi, che tali proprietà siano facilmente rappresentative dei simbolismi di culture animistiche o comunque dalla religione non molto complessa e possano fare perciò da tramite per il contatto con la divinità. Ad esempio i culti solari, o ancora religioni già più complesse come il Buddhismo dell’India vedica. Ma persino nel Cristianesimo, a partire dal Medioevo fino ai giorni nostri, l’oro (nonché il semplice suo colore o la doratura) ha una funzione che forse va al di là della semplice decorazione. In tempi più recenti ha assunto sempre più importanza un’altra sua caratteristica: la rarità. Oggi il suo valore economico è in relazione alla quantità limitata che se ne estrae e che ne è stata accumulata. I gioielli, le cui caratteristiche fondamentali si possono riassumere in due concetti, la preziosità e la bellezza, non potevano non avere come costituente fondamentale l’oro. È interessante notare che anticamente le parole orefice e gioielliere erano sinonimi e che la storia della gioielleria si confonde con la storia dello studio, della ricerca e della capacità di lavorare tale metallo. Non sappiamo dove l’oro sia stato usato per la prima volta allo scopo di fare gioielli e forse non è esistito un solo luogo da cui è iniziata la “cultura dell’oro”. Gli studi archeologici e antropologici ci portano a ritenere che il suo uso sia iniziato almeno 3000 anni prima di Cristo nelle regioni del Medio Oriente e ancora più ad Est e l’abilità di chi già allora l’ho lavorava era molto elevata. Sin dai tempi più antichi, la lavorazione dell’oro e di altri metalli richiese lo sviluppo di tecniche quali la fusione e la saldatura, lo sbalzo, la cesellatura, lo stampaggio, l’incisione, la filigrana e la granulazione. Per fare un esempio dell’epoca in cui tali metodi di lavorazione si svilupparono è interessante sapere che la granulazione fu usata già nel III millennio prima di Cristo, ma che nel 600-700 a.C. giunse a risultati eccellenti con l’uso di granuli di dimensioni molto piccole (fino a 1,5 mm) da parte degli Etruschi. I fili d’oro (che servono nei lavori in filigrana e la cui produzione rappresenta uno dei più ardui problemi tecnici che gli antichi dovettero risolvere) era già stata inventata dagli Egiziani.

L’ORO E LE PIETRE PREZIOSE
Oltre allo sviluppo delle tecnologie per la produzione di gioielli in oro si svilupparono anche quelle relative alla colorazione e all’uso di altri materiali decorativi o tali da rendere ancora più preziosi i prodotti degli orefici. Dal precedente uso di ossa e pietre per collane, nacque probabilmente l’idea di unire pietre rare, particolarmente belle e colorate, all’oro. Già al tempo degli Egiziani e dei Sumeri, le gemme avevano fatto la loro comparsa nel lavoro dei gioiellieri. La civiltà egizia, sumera, fenicia, minoica, greca, etrusca e via via quelle più moderne, fino a quelle ellenistica e romana, testimoniano con un innumerevole quantità di gioielli la bravura e il gusto per la bellezza che i maestri artigiani di quelle lontane epoche avevano e la raffinata fattura dei gioielli che produssero non può non stupirci, considerando le difficoltà tecnologiche che dovettero affrontare e risolvere. Data la vastità dell’argomento, bisogna sorvolare interi millenni e giungere a tempi molto più vicini a noi per parlare dell’influenza che l’arte ebbe sulla gioielleria e quindi degli stili che nacquero da tale commistione. È naturale che la fioritura dell’arte in Europa umanistica e rinascimentale influenzò anche il gusto e la bravura dei gioiellieri, così come le conquiste scientifiche aprirono le porte a possibilità produttive nuove. Ad esempio: la lavorazione meccanica in serie di alcune parti dei gioielli (come i fili d’oro) oppure l’estrazione dei metalli e la loro purificazione, le tecniche di taglio delle pietre preziose fino alla possibilità attuale di crearne artificialmente. Quando si parla di stili di gioielli non è sbagliato pensare ai canoni e ai periodi storici che certi termini, di altri settori del pensiero e della cultura, richiamano, come l’architettura, la pittura o la scultura. Così, ad esempio, lo stile gotico ebbe un’espressione specifica nell’artigianato orafo e lo stesso vale per il manierismo o il barocco. Per quanto riguarda i materiali, la disponibilità di metalli e pietre crebbe sempre più, sia per il progresso scientifico che per il contatto tra culture diverse che per la scoperta di continenti nuovi come l’America. Oro e diamanti quindi non furono i solo elementi base dei gioielli, ma furono affiancati da materiali magari meno rari e preziosi, ma non per questo meno adatti ad esprimere la bellezza quali argento, bronzo, rame, ferro, smeraldi, rubini, zaffiri, topazi, lapislazzuli, ambra, avorio, perle.

IL GUSTO ESTETICO E LA MODA DELLA FINE DEL XIX SECOLO
Durante la seconda metà del XIX secolo, le arti applicate avevano subito fortemente l’influsso delle nuove tecnologie, inoltre l’industrializzazione e la nascita del consumismo ebbero profonde ripercussioni anche sulla richiesta e sull’uso dei beni prodotti. Anche per i gioielli era iniziata la produzione meccanizzata e perfino in serie. Ciò permise di ridurre notevolmente i costi e rendere gli oggetti preziosi fruibili da parte di un mercato più vasto. D’altro canto, la qualità dei prodotti subì una riduzione. Nel campo della gioielleria era arrivato il momento di una rinascita del buon gusto, che sfruttando al meglio tutte le possibilità offerte dalla tecnologia moderna, riportasse la bellezza al centro dell’interesse per i gioielli. Le mode e gli stili della gioielleria non sono semplicisticamente etichettabili con gli stessi termini usati ad esempio per la pittura o per l’architettura. Uno stile molto importante sul quale bisogna soffermarsi e quello dell’Art Nouveau, che rivoluzionò l’architettura e le arti decorative, si estese in tutta Europa e presento aspetti autonomi rispetto agli stili storici. Comunque l’Arte Nouveau fu più di un fatto stilistico in quanto i suoi canoni vennero determinati rigorosamente dalle strutture tecniche di produzione, ma allo stesso tempo dal rifiuto di ogni compromesso nella qualità del prodotto. La fruibilità degli oggetti artistici da parte di mercati molto ampi doveva restare salva.

LA GIOIELLERIA E L’ART NOUVEAU
L’Art Nouveau portò al rifiorire delle arti applicate. “Mutare gli artisti in artigiani e gli artigiani in artisti” è una frase che da alcune idee sul senso di questo movimento. Il termine Art Nouveau deriva dal nome del negozio che Siegfried Bing aveva aperto a Parigi nel 1895, ma in altri Paesi furono usati anche altri termini, come in Italia lo stile Liberty. Tanti nomi avevano alla base un insieme di caratteristiche comuni nella produzione dei gioielli: tematiche naturalistiche, cromatismo intenso, linee libere e fluenti, contrastanti la rigidità formale che si era affermata precedentemente, ad esempio in Inghilterra. Celebri artisti come i pittori Vuillard e Bonnard si dedicarono alle decorazioni di oggetti preziosi, mobili o comunque operarono in altre arti applicate, tanto che per un certo periodo di tempo la distinzione con l’arte sembrò cadere. L’Art Nouveau trovò in Arthur Heygate Mackmurdo un primo grande artista che la rappresentasse e ne affermasse esplicitamente i contenuti. Egli riprese alcune idee dell’inglese William Morris che voleva riportare l’artigianato e i livelli qualitativi del Medioevo e contrastare il meccanismo della produzione industriale. Morris nel suo centro di produzione “Arts and Crafts” (Arti e Mestieri) produceva oggetti che coprivano una vasta gamma di bisogni, dai mobili e agli oggetti d’uso domestico fino alle tappezzerie, soprammobili eccetera eccetera. Mackmurdo formò nel 1882 la “Century Guild” e iniziò a produrre soprattutto stoffe disegnate. Infatti egli era soprattutto un artista figurativo. Anche a distanza di decenni, i suoi disegni furono ripresi in Inghilterra, Francia e Germania come motivi decorativi. I suoi disegni e il suo stile ebbero molta influenza anche nella gioielleria. Nei momenti iniziali di questa nuova scuola si influenzano tra loro non solo vari artisti, ma anche culture e stili diversissimi. Ad esempio il simbolismo delle stampe giapponesi fu raccolto dall’inglese Aubrey Beardsley ed entrò nel crogiolo delle idee degli artisti e degli artigiani di quel periodo. Ma, fu sul continente che l’Art Nouveau si sviluppò completamente, soprattutto per quanto riguarda la gioielleria. A Parigi e in tutta la Francia, la moda del gioiello artistico Art Nouveau esplose. Alphonse Mucha produceva manifesti decorativi dalle linee sensuali, Gallé era famoso per gli oggetti in vetro, Guimard per l’architettura, Majorelle e Vallin per i mobili e per i gioielli Lalique, Fouquet e Beber. Il più celebre gioielliere parigino fu senza alcun dubbio René Lalique. Aveva iniziato ad interessarsi di pittura, ma quando il padre morì nel 1876 divenne apprendista di un grande gioielliere parigino, Aucoc. Successivamente andò in Inghilterra a perfezionarsi e lì entrò in contatto con l’Art Nouveau. Tornato a Parigi nel 1881, ebbe alcune difficoltà a intraprendere la sua attività fino al 1891, quando ebbe l’occasione di diventare fornitore dell’attrice Sarah Bernhardt. Successivamente studiò a fondo le tecniche di lavorazione del vetro. Convinto del valore creativo più che di quello economico dei materiali usati, non si fece scrupolo di produrre eccellenti gioielli artistici contenenti anche vetro. I suoi gioielli erano innovativi, i temi più trattati erano fiori, piante, animali e soprattutto insetti multicolori. La forma era talvolta molto realistica oppure deformata o di pura immaginazione. Ad esempio della fama che Lalique raggiunse è interessante sapere che un fermaglio per cappelli da lui realizzato in occasione dell’esposizione universale del 1900 venne acquistato per 1500 franchi da un acquirente di Copenaghen. Il gioiello raffigura cinque vespe su un girasole, il tutto è modellato magistralmente, i materiali impiegati sono oro, argento, opale, vetro, corno e diamanti. Un’altra importante esposizione dei lavori di Lalique fu quella del 1896 al Salon di Parigi: in quell’occasione egli espose i suoi primi nudi scolpiti nell’avorio, costituenti il tema centrale di un gioiello (tale tema divenne poi uno dei suoi preferiti). In quell’occasione fu acquistato per fare parte della collezione Gulbenkian, una spilla per corpetto che fu prestata alla celebre Sarah Bernhardt. Si tratta apparentemente di una grande libellula colorata (predominanti il verde, il nero, colori tenui sulle ali e il giallo oro), ma ad un esame più attento si nota l’esistenza di un mostro con grandi artigli, dalle cui fauci aperte emerge un torace ed una testa umana femminile di intenso colore verde, alle spalle di tale forma umana sono attaccate delle grandi ali. Altri due grandi gioiellieri francesi furono Georges Fouquet ed Henry Beber, che a differenza di Lalique erano figli di gioiellieri e potevano contare su solide basi economiche sulla tradizione di aziende e tecnologie, già ben collaudate. La famiglia Fouquet possedeva la migliore gioielleria specializzata nello stile rinascimentale italiano. Alcuni discendenti di essa sono ancora tra i migliori gioielli di Parigi. Lo stile di Georges era meno fantasioso di quello di Lalique, i suoi gioielli avevano un aspetto più compatto e simmetrico. Gli anni delle sue migliori produzioni furono quelli in cui collaborò con il disegnatore di manifesti Mucha.

LA FINE DELL’ART NOUVEAU
Mentre fioriva l’Art Nouveau sopravvivevano altre tradizioni stilistiche e scuole. Ad esempio, Cartier e Boucheron a Parigi, Asprey a Londra, Bulgari in Italia. Questi grandi gioiellieri erano meno originali nelle loro creazioni e rimanevano ancorati al concetto di preziosità intrinseca dei materiali usati: brillanti e oro. Anche per quanto riguarda il sostegno delle pietre preziose, l’oro, stava per accadere una rivoluzione: l’introduzione del platino. Questo metallo soppiantò l’argento, che nei lavori di gioielleria presentava il difetto di essere tenero e soprattutto di ossidarsi col passare del tempo, rendendo meno luminose proprio quelle composizioni che dovevano mettere in risalto la lucentezza dei brillanti. Il platino, invece, ha una maggiore resistenza meccanica, perciò ne basta una quantità minore per sostenere le pietre preziose, l’incastonatura è più sicura e non ossidandosi al contatto con l’aria non perde la lucentezza col passare del tempo. I grandi gioiellieri tradizionali poterono così produrre nuovi oggetti di grande valore, più raffinati e concepiti per esaltare la lucentezza dei brillanti in ogni occasione. Intorno alla Prima Guerra Mondiale, l’Art Nouveau cominciò ad estinguersi, forse anche a causa del sopraggiungere di una certa ripetitività ed accademismo dei temi e delle composizioni.

LA RINASCITA ARTISTICA E COMMERCIALE DELLA GIOIELLERIA
Dopo la fine della Guerra, a partire dagli anni ‘20, la gioielleria che aveva segnato il passo a causa delle miserie delle devastazioni belliche, riprese vigore. I fruitori potenziali aumentarono di numero man mano che la rinascita economica dei Paesi si rafforzava e presto la gente si rivolse ai gioielli come simbolo, per chi li possedeva, di prosperità, ricchezza, buongusto. Ma, il pericolo che il valore economico soffocasse con gemme e massicce quantità di metalli preziosi la ricerca estetica, fu combattuto dal distintivo interesse di artigiani e artisti al mercato dei gioielli, così in una sola generazione la produzione di oggetti raggiunse livelli artistici eccezionali. In un certo senso l’Art Nouveau aveva dato i suoi frutti, o forse il gusto dei fruitori si stava educando sempre più e i gioiellieri, oltre al valore intrinseco dei materiali, avevano affinato la loro capacità stilistica, se non altro per essere più competitivi. Le società moderne, non a caso dette consumistiche, hanno la capacità di produrre un enorme quantitativo di beni, ma allo stesso tempo hanno bisogno di chi poi li acquisti. Qualsiasi cosa venga introdotta nel circuito del consumo di massa, necessita perciò di una forte richiesta, ma contemporaneamente di un’adeguata possibilità di produzione, quindi di lavorazione in serie o altamente meccanizzata. Fa nuovamente capolino il problema della raffinatezza estetica dei gioielli, che già era stato centrale nell’Art Nouveau. Seppure un alto valore artistico può non essere del tutto esprimibile nella produzione di massa, oggi abbiamo dei vantaggi rispetto al passato, sia per quanto riguarda la potenzialità tecnologica sia per l’informazione, vale a dire che i disegnatori dei gioielli hanno molte più possibilità di studiare ed educare il proprio gusto per il bello. Così oggi è possibile fare un’insolita distinzione che porta sì a parlare dei gioielli commerciali, ma non per questo in senso dispregiativo. Infatti, anche i gioielli prodotti e venduti in gran numero di esemplari uguali in tanti negozi, sono normalmente di buona fattura ed esteticamente accattivanti. Inoltre, i prodotti delle grandi case non rinunciano al valore intrinseco dei metalli usati e delle pietre preziose, pertanto i gioielli commerciali hanno tutto il diritto di essere considerati dei piccoli concentrati di preziosa bellezza. Ovviamente, le creazioni uniche fatte personalmente da un maestro artigiano, magari sulla base di un disegno frutto del piacere di esercitare la fantasia ma che tiene conto dei canoni stilistici e anche delle richieste particolari dell’acquirente, sono un fatto artistico speciale. I gioielli prodotti in tal modo magari da piccoli laboratori ed artisti-artigiani, comunicano con entusiasmo ineguagliabile e inimitabile.

I GIOIELLI MODERNI
Un esempio concreto della buona qualità estetica e artistica dei gioielli prodotti in grandi quantitativi è la storia della Bauhaus (inizialmente scuola d’architettura, poi laboratorio di arti applicate) che fu fondata nel 1919 a Weimar da Walter Gropius ed ereditò la tradizione di due precedenti scuole operanti in quella località. La Bauhaus non condivideva la filosofia dell’Art Nouveau di negazione del processo di industrializzazione, ma lo accettava e cercava di garantire all’artigiano e all’artista di intervenire nella produzione e trasferirvi il suo apporto creativo. È esplicativo il seguente motto di Gropius: “La Bauhaus intende coordinare tutte le forze creative e combinare tutte le discipline tecniche ed artistiche. Il fine ultimo della Bauhaus è il lavoro artistico collettivo, in cui non ci saranno più distinzioni tra arti strutturali e arti decorative”. Lavorarono con Gropius grandi artisti come i pittori Klee e Kandinsky, scultori come Gerhard Marx e molti validi disegnatori, architetti e tipografi. Le linee geometriche, pulite, essenziali degli oggetti prodotti dalla Bauhaus influenzarono notevolmente i gioielli moderni, finanche un esponente della famiglia Fouquet, che era stata fautrice dello stile dell’Art Nouveau. Negli anni ‘20, oltre alle forme geometriche, ebbero grande successo altri temi nella creazione di gioielli, come le spille a forma di cane e i braccialetti-amuleto, fino a quel momento prodotti per i bambini, di solito in metallo non prezioso, ora invece in oro, platino e addirittura con diamanti. Alla fine degli anni ‘20 e all’inizio degli anni ‘30 ebbero successo anche altri tipi di sostegno (meno frivoli delle spille a forma di cane e dei braccialetti amuleto) per i diamanti e per le gemme più preziose. Ad esempio la molletta doppia, composta di sezioni agganciate che potevano anche essere indossate separatamente. Si diffusero molto anche le collane e i braccialetti di platino e diamanti a pavé. Il taglio dei diamanti era quasi sempre a brillante, ma per un certo periodo fu sperimentato e incontro abbastanza favore il taglio a smeraldo. Spesso si univano alla gemma principale altre pietre preziose più colorate, allo scopo di creare contrasti policromi e maggiore ricchezza di effetti visivi. Ineguagliati rimangono le lavorazioni di Cartier, anche se il disegno di tali gioielli non era sempre originale. Verso gli anni ‘30, le forme geometriche essenziali a cui si erano continuati ad applicare i grandi gioiellieri subirono una arricchimento di particolari e un’elaborazione tali da rilanciarle notevolmente. Ma sul finire degli anni ‘30, la generale congiuntura economica dei Paesi occidentali compì anche il mondo della gioielleria. Nel 1936 il peggior momento della crisi era passato, ma stava per scoppiare una crisi ancora peggiore di quella economica: la Seconda Guerra Mondiale. Comunque, prima del precipitare degli avvenimenti, il segnale della ripresa nel campo della gioielleria aveva rappresentato una nuova moda, quella degli oggetti floreali che ricordavano il periodo vittoriano.

DALLA FINE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE AI GIORNI NOSTRI
Come per il precedente conflitto bellico, anche questa volta ci volle qualche anno prima del ripristinarsi della richiesta di beni di consumo effimeri, sia pure bellissimi, quali sono i gioielli. Le materie prime scarseggiavano, le macchine necessarie a lavorare i metalli e le pietre preziose erano un lusso che solo pochi potevano permettersi e la ricchezza della gente non era tale da sostenere un mercato costoso come quello dei gioielli. Comunque, verso gli anni ‘50 la situazione cominciò a migliorare. La precedente divisione tra gioielleria commerciale ed una più artistica è ancora oggi valida. Non per niente la causa che porta a tale distinzione esiste ancora ed anzi si è rafforzata. Di più, la tendenza a concentrare il valore nella perfezione del taglio scientifico delle gemme e nella loro grandezza o nella quantità d’oro o di platino presente nei gioielli delle grandi case sembra privilegiare l’aspetto commerciale dell’oggetto prezioso. Comunque l’arte, attraverso tanti suoi validi esponenti, influenza notevolmente il lavoro dei gioiellieri. Ad esempio lo scultore americano Alexander Calder noto per le sue composizioni mobili, così come lo svizzero Alberto Giacometti con i suoi oggetti surreali, hanno influenzato la più recente gioielleria. Fu addirittura nel 1938, che Calder espose i suoi primi gioielli cosiddetti “poveri” fabbricati cioè con ottone e altri metalli considerati non nobili (questo artista aveva fatto studi di ingegneria da giovane, ciò gli aveva dato una conoscenza specifica dei materiali e delle loro tecnologie) concetto forse troppo rivoluzionario per questi tempi. Verso l’inizio degli anni ‘60 altri artisti, pittori e scultori, non disdegnarono l’arte applicata: Cocteau, Arp, Tanguy, Dubuffet, Man Ray, De Chirico. Talvolta questi artisti crearono solo alcuni gioielli per esperimento, ma altri, come Georges Braque e Salvador Dalì, ne idearono intere collezioni. Nel 1963 Braque, qui già ottantunenne, volle cimentarsi a fondo in tale campo e disegnò ben 130 modelli diversi di gioielli che furono esposti anche a Parigi. Il surrealista spagnolo Salvador Dalì sfoggiò tutta la sua originalità in una serie di straordinari gioielli, orologi gocciolanti, elefanti con zampe di ragno, un cuore pulsante con rubini. Alcune di tali creazioni possono essere indossate, altre sono solo oggetti da esposizione. Una frase di Salvador Dali è adatta a sintetizzare il meraviglioso mondo dei gioielli: “Nei gioielli, come in tutta la mia arte, io creo ciò che amo. I miei gioielli dimostreranno che gli oggetti di pura bellezza, inutili ma meravigliosamente eseguiti, sono stati apprezzati anche in un periodo in cui i criteri materialistici ed utilitaristici erano predominanti. I gioielli non sono stati concepiti per giacere inanimati in cripte d’acciaio: essi sono stati creati per il godimento degli occhi, per l’elevazione dello spirito, per stimolare l’immaginazione, per esprimere condanne. Senza un pubblico, senza la presenza di spettatori, essi non possono adempiere alla funzione per cui sono stati creati. Lo spettatore diventa allora l’artista principale: la sua vista, il suo cuore, la sua mente si uniscono nel tentativo di afferrare l’intento di chi li ha creati e danno loro vita”.

Le seguenti creazioni di Eleda Calandriello sono tutte realizzate in vetro artistico e rame, utilizzando la tecnica Tiffany.

CONCLUSIONI FINALI CON QUESTIONARIO INTERATTIVO PER COINVOLGERE IL FRUITORE-LETTORE INTERNAUTA IN MODO ATTIVO E COMPARTECIPE

I.  Quale sezioni di iscritti è stata maggiormente coinvolgente come approccio recettivo e perché?

II.  I gioielli e i monili artistici fanno parte del tuo stile? In quali circostanze e occasioni vengono più spesso indossati?

III.  Tra le creazioni realizzate da Eleda designate simbolicamente come “testimonial rappresentative” per accompagnare questo progetto artistico di approfondimento, qual è la preferita e perché?

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